di Stefania De Michele
Ha sette vite come i gatti, anzi non le ha e per questo scrive.
Nato a Roma ma di famiglia sarda, Diego Cugia, autore di Alcatraz (storica trasmissione di Radio2) è fuggito dalla cella due metri per tre, in cui aveva recluso il suo personaggio più noto, Jack Folla, un dj nel braccio della morte, e si è ritrovato nelle praterie sconfinate dell’Argentina, cornice del suo ultimo libro Tango alla fine del mondo. Orizzonti vasti e sentimenti epici nel romanzo edito da Mondadori.
Che tipo di libro dobbiamo aspettarci? Un feuilleton moderno, un romanzo ottocentesco del terzo millennio che parla ai ragazzi di oggi. Quelli che si ritrovano a vivere la stessa epopea dei loro bisnonni: emigrare. Il lettore deve aspettarsi di tutto: avventura, passione, colpi di scena e tango.
Diana, l’eroina del tuo romanzo, è bellissima come la protagonista di una storia di Marquez e sfortunata come la Lucia
dei Promessi Sposi di Manzoni. Esistono davvero donne così?
Diana ha diciassette anni, è il mio Jack Folla al femminile, una ribelle che osa capovolgere il suo universo. Donne così esistevano ed esistono ancora. E per quanto il potere maschile le isoli e le ignori (perché le teme) conducono lo stesso vite straordinarie.
Hai dimenticato Jack Folla? Voltato pagina?
Non ho voltato pagina io, l’ha voltata quell’Italia che non tollera personaggi senza bavaglio. Dieci anni fa, quando in Rai andava in onda Jack, c’era più libertà di oggi.
Cosa ti lega alla Sardegna?
Alla Sardegna mi legano le stesse cose che a Diana, la mia piccola eroina di “Tango alla fine del mondo”, la legano a Isola delle Femmine in Sicilia. Per me la Sardegna è l’isola dei padri, la radice e l’ossigeno. Il mirto, il salmastro, il vento che piega gli alberi senza umiliarli, come una rude carezza di un padre. E poi il mare “di fuori” dove chi viene, viene per derubarci. Nella nostra famiglia l’amore per la Sardegna si tramanda come un segreto o un elisir.